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TOMASO BONANTINI RACCONTA SE STESSO
Tomaso Bonantini, figlio di Attilio e di Giovanna, il minore di 4 fratelli; Alvaro, Walter che purtroppo non c’è più ed Ermanno.
Sono nato a Montombraro di Zocca il 6 giugno 1938, terra fertile che ha dato vita a personaggi come l’astronauta Maurizio Cheli e il cantante Vasco Rossi.
Ho visto la luce in una casa di campagna denominata “Casa Gallone” situata in una zona alquanto distante dal paese.
Al momento del parto, mia madre Giovanna mandò mio padre ad avvertire la famiglia Baccolini, nostri vicini, abitanti a “Casa Lazzarino”, affinché avvertissero la Nina, la levatrice che abitava alla “Buttazza” di Montorsello, a circa sei chilometri da noi.
Giuseppe Baccolini detto Peppino si premurò di andare personalmente ma non riuscì a rintracciarla in quanto la donna in quel momento era in Chiesa alla S. Messa.
La donna interruppe le sue preghiere per accorrere presso la partoriente e insieme all’amico Peppino s’incamminarono a piedi verso “Casa Gallone”.
Così in quel giugno del 1938 la famiglia crebbe ulteriormente.
Da casa mia, per andare a fare la spesa o a scuola, occorreva una mezz’ora a piedi.
Questo lo ricordo perché mia madre mi mandava al negozio, preparandomi una sporta con le uova e la bottiglia dell’olio vuoto da riempire, poi acquistavamo il sale, un po’ di lardo, i fiammiferi e i “toscani” per mio padre Attilio.
Sempre a piedi, provvisto di due secchie, andavo inoltre al caseificio a portare il latte da noi munto.
Nella mia terra natale ho lasciato tanti ricordi e affetti, in particolare il mio amico Gino Baccolini, vicino di casa, tuttora famoso per le sue arti venatorie: “figlio d’arte”, la sua specialità ancor oggi è cacciare la selvaggina, in particolare pernici, fagiani, lepri.
Sua sorella Meme, che è diventata un’artista molto apprezzata, è nota per i suoi dipinti ad acquerello e ad olio.
Iniziò la sua carriera artistica grazie agli insegnamenti del famoso maestro d’arte Aurelio Barbalonga.
È tuttora allieva del Prof. Angelo Tassi. Meme, attualmente vive e lavora a Bologna.
Ci siamo rivisti dopo 50 anni e in un paio di occasioni abbiamo esposto le nostre opere in concomitanza.
Rimanendo in tema di Gino, più giovane di me di 3 anni, durante l’adolescenza egli veniva spesso a pranzo da noi e a volte nel tempo libero potevamo permetterci il lusso di giocare insieme perché per la maggior parte della giornata eravamo invece impegnati al pascolo delle pecore e delle mucche nel bosco.
Inoltre si faceva “scozzetto” con le uova , tradizione che è stata reintrodotta a Montombraro recentemente, sulla scia delle antiche usanze contadine.
Con l’amico Gino giocavamo anche al pallone. Io stavo in porta e lui mi allenava.
Potevamo sfruttare solo il poco tempo che avevamo a disposizione mentre i nostri genitori si riposavano dopo il pranzo.
Il luogo prediletto era dietro la stalla dove il terreno era pianeggiante e il pallone era fatto di stracci tenuti assieme dalla corda.
Io mi facevo chiamare “Baccigalupo” come il portiere del Torino e della Nazionale, morto nel tragico incidente aereo di Superga.
Anch’io ho vissuto il periodo della guerra, anche se all’epoca avevo circa 6 anni.
A casa nostra ospitammo dapprima i partigiani, poi vennero di forza i tedeschi che con le loro ruberie ci spogliarono del poco bestiame che avevamo.
Un episodio che ancora non dimentico fu quando con i loro moschetti cominciarono a uccidere tutte le nostre galline a cui tagliarono la testa, le misero in un paiolo e le bollirono scartando il brodo.
A noi non rimasero che quei magri resti coi quali tirammo avanti appena qualche giorno.
La mattina dopo i miei fratelli Alvaro, Walter e mio padre Attilio si erano rifugiati “ai Balzi” nei paraggi di Roccamalatina. In casa c’eravamo io, mio fratello Ermanno di 8 anni, mia madre Giovanna e la vicina Bruna Baccolini.
I tedeschi, passando in perlustrazione, si presentarono per requisire tutto ciò che poteva essere loro utile. Trovarono indumenti maschili: giacche, scarpe, cappelli, pantaloni ecc...e chiesero a chi appartenevano.
Non trovando persone adulte, insospettiti, si misero ad ispezionare ogni stanza ed anche il fienile.
Noi riferimmo che gli adulti si erano recati presso il padrone del fondo abitante a Pieve di Trebbio.
Non credendo alla nostra versione essi impugnarono le mitragliatrici, ci allinearono contro il muro puntandocele addosso.
Il momento fu davvero orribile ma per fortuna arrivò l’interprete tedesco che parlò con loro scongiurando ogni eventuale azione.
Non solo eravamo oppressi da questi eventi ma anche dalla miseria.
Purtroppo si è patita la fame nonostante fossimo mezzadri. Quando la mamma Giovanna ci faceva le uova, le divideva in 4 parti uguali, per noi fratelli.
Un altro episodio che ricordo come ora, fu il combattimento di Pieve di Trebbio avvenuto il 12 marzo 1944.
Questi arrivarono sul luogo con dei camion. La sparatoria ebbe luogo in mezzo a tanta neve e prese ad infuriare sempre più violenta tra fascisti e partigiani.
Un partigiano che stava nascosto in un pozzo con la sua mitragliatrice nella casa chiamata “Fontanaccio” quando capì di essere inevitabilmente circondato si gettò nel pozzo per non cadere in mano nemica. Il numero dei morti da parte dei repubblichini fu cospicuo, al ritorno vennero caricati sui loro automezzi mentre il bilancio delle vittime partigiane fu di 8 persone.
Sempre in tema di guerra, ho vissuto anche la tragedia dei “Boschi di Ciano”, evento tristemente famoso per la sua gravità e atrocità.
A Montombraro, in seguito all’uccisione di 2 militari tedeschi, venne eseguito un rastrellamento notturno durante il quale furono catturate 20 persone innocenti, portate in seguito in prigionia a Castelletto di Serravalle. per 2 giorni vennero sfamati ma non fu loro dato da bere. Trasportati ai “Boschi di Ciano”, dove era stata allestita una forca, le mani legate alla schiena e barbaramente torturati, furono poi impiccati il 18 luglio 1944.
Noi il giorno seguente, andammo a vedere perché eravamo abbastanza vicini.
Erano tutte persone che conoscevamo.
Sono rimasto a Zocca fino ai 20 anni.Ho sempre avuto la passione di modellare
la creta fin da piccolo, assistito dall’amico Gino Baccolini che mi aiutava a
levar la terra dagli stagni.
Modellavo scenette contadine, figure di animali che lavoravano in campagna,
poi cuocevo i bozzetti nel forno di mia madre Giovanna, dopo che aveva
fatto il pane. La terra la prelevavo dagli stagni d’acqua che erano vicini a casa.
Ho citato questi due avvenimenti storici in quanto le mie prime opere, due
bassorilievi, si sono direttamente ispirati ai suddetti eventi (rastrellamento,
flagellazione, impiccagione).
Tornando alle mie vicissitudini personali, venni via dalla montagna quando
avevo 20 anni, emigrando in pianura per i soliti motivi. Eravamo in sei, cioè
cinque uomini tutti abbastanza giovani per lavorare la terra. Ci trasferimmo
a Modena, in periferia.
Dopo due anni di permanenza in città fui chiamato
alla leva, nel corpo degli Alpini (8° Reggimento Brigata Julia).
Partii con molta tristezza perché i miei avevano bisogno in campagna.
Feci il CAR a Bassano del Grappa, poi mi trasferirono a Moggio Udinese al
reggimento nella 155ª Compagnia mortai. Da lì cominciarono le “bufere”.
Campo estivo, campo invernale, distaccamento lavori, taglio della legna,
realizzazione di strade, ecc...Non temevo tutto questo perché ero abituato alla
fatica e ai lavori campestri. Qui conobbi tanti amici. Amici coi quali ho il
piacere di incontrarmi tuttora nelle adunate alpine.
Dopo 18 mesi di leva arrivò finalmente il congedo che mi ricongiunse ai
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tornato alla vita civile presi a lavorare nel settore edilizio per la ditta “Ferrari
Marco” di Maranello restandovi per 10 anni.
In questo periodo conobbi Italo Tognin, mio vicino di casa, anch’egli milanista
e donatore di sangue come me. Ci siamo sempre frequentati anche se lui era
già ammogliato. Originario del Veneto, era emigrato in Emilia in cerca di
migliori condizioni di vita.
Parlando del mio amico Italo, tuttora dopo 40 anni, esiste tra noi un grande
rapporto affettivo. Ci confrontiamo spesso su argomenti come lo sport, l’arte
e la vita quotidiana.
Questo signore ha purtroppo subito una grande disgrazia, perdendo una figlia
di soli 20 anni di nome Lorena, a causa di una grave malattia. C’è ancora
tristezza per questo lutto tra i miei e i suoi familiari.
Poi conobbi mia moglie Rosaria. Essendo molisana, precisamente di Agnone
dove è situata la famosa fonderia di campane “Marinelli”, il destino volle che
un amico, Giuseppe Ferretti, sposasse un’originaria del luogo. Mi parlò poi
di Rosaria, amica di sua moglie. Essendo scapolo volle farmi conoscere la
ragazza. La prima volta che vidi Rosaria, mi colpì per la sua semplicità, dote
che condivido ampiamente essendo io stesso una persona semplice. Molto
genuina, estremamente disponibile con tutti, prima di se stessa, una ragazza
acqua e sapone proprio come piaceva a me. Ci conoscemmo in giugno e in
ottobre ci sposammo. La cerimonia ebbe luogo ad Agnone, dove l’amico Italo
mi fece da testimone. Il pranzo venne organizzato a casa di Rosaria, come
usava una volta. Avevo portato la mamma Giovanna, mio fratello Ermanno,
la zia Teodora e la zia Irma, più una ventina di amici di Modena. Al ritorno,
per raggiungere la corriera, dovevamo percorrere 100 metri di strada a piedi.
Mi colpì il calore della gente che affettuosamente aveva “fatto cordone” per
salutare la sposa tra lacrime e sorrisi commossi, soprattutto la gente anziana.
Capii il dispiacere che nutrivano per la partenza di Rosaria.
Rientrammo quindi
a Modena. Per Rosaria iniziò una vita completamente nuova, specialmente
in famiglia dove eravamo in dieci. Subito si ambientò entrando in ottimi
rapporti con i miei familiari, legando affettivamente anche con le nipotine
Milva, di 8 anni, e Mara, di 7.
Entrambi trovammo impiego in una fabbrica ceramica, un lavoro assai faticoso
dai ritmi elevati. Vista la socievolezza anche coi colleghi, Rosaria non ebbe
mai problemi, anzi diventò la “mascotte” della ceramica.
Nel frattempo nacque nostra figlia Anna Rita, praticamente cresciuta da mia
madre Giovanna e da mia cognata Bruna, in quanto noi due eravamo spesso
impegnati al lavoro.
Per 12 anni restammo in famiglia, finché si liberarono i primi appartamenti
dove abitiamo tuttora, in Via Agnini, a Modena.
Per quanto riguarda la mia produzione artistica devo dire che iniziai a lavorare
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la mia passione in campo pittorico dipingendo soprattutto ad olio.
In quel
periodo conobbi lo scultore Romano Buffagni che dipingeva e faceva scultura.
Mi recavo spesso nel suo studio a Modena, da lui ho imparato tanto ed ho
potuto a mia volta farmi apprezzare. Un giorno gli portai una scultura che
avevo elaborato, mi incitò e mi disse queste parole “bravo Bonante” (perché
lui mi chiama sempre così) “è ora che ti dai una mossa anche da solo”.
Mi incoraggiò, mi fece capire che ero sulla strada buona. Da allora sono partito
piano piano e sono arrivato dove vedete, come da questo piccolo catalogo.
Spero di andare avanti ancora, se Dio mi lascia la salute. Nel 2000, purtroppo,
ho subito un brutto incidente che mi ha costretto ad abbandonare il laboratorio
per 2 anni.
Dopo questa lunga assenza ho potuto riprendere l’attività artistica, realizzando
numerosi pezzi unici.
Penso di creare ancora opere nuove per lasciare un grande corredo di sculture
ai miei eredi.
All’inizio ho parlato di dipingere. Ora ho smesso perché mi attira maggiormente
la scultura.
Parlando di amici, desidero ricordare mio cugino Giorgio Leonelli, anch’egli
donatore di sangue come me e l’amico Italo. Abbiamo raggiunto il numero
di 100 donazioni. Nel tempo libero io e Rosaria andiamo spesso da lui.
Giorgio ha sposato Giovanna, un’amica di Rosaria. Siamo loro maggiormente
vicini soprattutto dopo la grande disgrazia che hanno subito per la perdita
del figlio Gianni, di soli 9 anni, a seguito di una leucemia fulminante.
Giorgio e Giovanna abitano nel mio paese natale, a Montombraro.
Ora il riassunto della mia vita è terminato, chiedo scusa ai lettori della mia
spontaneità a scrivere ma ho fatto solo la 5ª elementare. Non mi so esprimere
sono impacciato nel parlare, con le telecamere e i microfoni.
Però mi piace parlare attraverso la scultura e mettere in opera la vita che ho
vissuto, quando abitavo a Zocca.
Ringrazio l’Amm.ne Comunale di Zocca da dove ho iniziato il mio cammino
artistico, da già oltre 30 anni, che ha ospitato e ospita tuttora le mie mostre
personali.
Ringrazio l’attuale sindaco Sig.ra Carmen Zini e il precedente Sindaco Sig.
Aldo Preci, nonché l’Assessore alla cultura Sig. Paolo Santagata.
Tomaso Bonantini
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Le personalità premiate da Tomaso Bonantini
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